Il razzismo non è solo uno stress aggiunto per gli individui di gruppi etnici minoritari (identificati come gruppi razziali) ma è un agente patogeno che genera depressione. Analizzando questo all’interno di un modello sociale della depressione che indica alcuni modi in cui il razzismo colpisce sottilmente – e non così sottilmente – l’autostima, causa perdite in senso psicologico e promuove un senso di impotenza (Tabella 2) ho indicato i modi in cui questa prospettiva dovrebbe influenzare il trattamento. Uno schema più complesso che riassume le questioni sollevate in questo articolo sono riportate nella Tabella 3. Si deve riconoscere che nella depressione (come in ogni altra malattia psichiatrica), il paziente è implicato nella genesi della condizione in un modo o nell’altro, ma l’enfasi data in questo articolo ad un approccio “vittima” è deliberata e necessaria. Nel trattare la depressione tra le persone che sono vittime di una condizione sociale, sia essa il razzismo o la disoccupazione, è fin troppo facile vedere l’individuo come il problema. Poi vediamo le soluzioni solo in termini di cambiare o trattare l’individuo e ci ritroviamo davvero in un bel casino. Per esempio, l’autore stava recentemente parlando con un medico generico di un uomo che era diventato depresso a causa della disoccupazione. Il medico voleva dargli un antidepressivo. Sì X è “buono per la disoccupazione” gli è stato detto. Non vide la battuta. L’enfasi si era già spostata. Anche se riconosciamo gli effetti del razzismo nel causare crisi di identità, bassa autostima o un senso di impotenza, dobbiamo naturalmente aiutare l’individuo, ma dobbiamo continuare a ricordare a noi stessi che il problema non è davvero la bassa autostima o altro, ma il razzismo. (ABSTRACT TRUNCATED AT 250 WORDS)